Sulla natura degli accordi di reintegrazione della legittima

L’accordo di reintegrazione della legittima può essere definito come il negozio volto a soddisfare i diritti del legittimario leso nella sua quota di legittima. Si tratta di uno schema negoziale atipico, non ricevendo una regolamentazione a livello normativo. Nel silenzio del legislatore e della giurisprudenza, la dottrina si è fatta carico del compito di indagare e individuare la natura giuridica dell’istituto, elaborando all’uopo diverse teorie: transazione; negozio di accertamento costitutivo; negozio di accertamento dichiarativo produttivo dei medesimi affetti della sentenza di riduzione; negozio unilaterale di tacitazione dei diritti; rinuncia; novazione.
Ciascuno di tali schemi negoziali è idoneo ad essere impiegato per porre rimedio alla lesione e soddisfare, in tutto o in parte, i diritti del legittimario.
Solo uno di questi tuttavia può essere definito accordo di reintegrazione in senso tecnico.

SOMMARIO: 1. INTRODUZIONE. 2. LE TESI DELLA DOTTRINA. 3. L’ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE. 4. CONCLUSIONI: STRUTTURA DELL’ATTO E PUBBLICITÀ.

1. INTRODUZIONE.

L’accordo di reintegrazione della legittima può essere definito come il negozio volto a soddisfare i diritti del legittimario leso nella sua quota di legittima. La definizione è di inevitabile provenienza dottrinale, essendo l’istituto privo di un’apposita regolamentazione normativa. L’unico riferimento positivo è contenuto nel Testo unico sull’imposta sulle successioni (D. Lgs. N. 346/1990), quindi in una norma tributaria, e in particolare negli artt. 30 e 43: l’art. 30, nell’elencare i documenti che devono essere allegati alla Dichiarazione di successione, indica alla lett. d), la copia autentica dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata dai quali risulta l’eventuale accordo delle parti per l’integrazione dei diritti di legittima lesi. L’art. 43, nel disciplinare l’imposta in caso di disposizioni testamentarie impugnate, equipara l’ipotesi di impugnativa giudiziale agli accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Dallo scarno dato normativo è possibile ricavare esclusivamente che il legislatore prende atto dell’esistenza di tali accordi, senza fornirne una disciplina ma richiedendo un requisito formale per la loro validità: l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata.
L’assenza di qualsiasi altra indicazione, ha stimolato l’elaborazione dottrinale nello studio della natura giuridica dell’istituto, elaborazione che si è sviluppata in presenza di una giurisprudenza assai esigua in materia.
Prima di analizzare i molteplici orientamenti dottrinali, si richiede un preliminare inquadramento dei termini del problema.
Gli accordi di integrazione della legittima, a prescindere dalla natura giuridica che si preferisce sostenere, presuppongono sempre la medesima premessa e producono sempre il medesimo effetto: la lesione dei diritti di un legittimario, così come disciplinati negli artt. 536 ss. c.c., alla quale il soggetto leso può reagire ricorrendo alla via giudiziale o stragiudiziale.
L’ordinamento infatti, appresta una tutela significativa dei diritti intangibili dei legittimari, in nome dei principi, costituzionalmente tutelati, di solidarietà familiare, tutela che si pone come limite alla sovranità, per il resto assoluta, della volontà del testatore.
Tale tutela, nel sistema codicistico, si esprime attraverso l’esercizio dell’azione di riduzione, regolata agli artt. 553 ss. c.c., che consente al legittimario di ottenere una pronuncia di inefficacia delle disposizioni lesive della sua legittima, contenute o nel testamento, o in donazioni concluse in vita dal de cuius. La lesione può derivare o da una completa esclusione del legittimario dalla partecipazione alla successione o dal conseguimento di una porzione di eredità inferiore a quella spettante per legge.
Fermo restando la via giudiziale appena descritta, è ormai pacifica l’ammissibilità di accordi tra legittimari (lesi o pretermessi) e beneficiari di disposizioni testamentarie (eredi o legatari) o di donazioni, che consentano in via convenzionale di raggiungere il medesimo risultato, cioè porre rimedio alla lesione della quota di riserva.
La legittimità di tali accordi si trae, oltre dall’evidente dato normativo che ne riconosce inequivocabilmente l’esistenza, dalla presenza in capo al legittimario di un diritto potestativo al conseguimento della quota di riserva, che può trovare realizzazione alternativamente tramite pronuncia giudiziale o accordo privato (MENGONI, TAMBURRINO, LUISO); d’altronde, essendo in gioco diritti patrimoniali disponibili, non vi è alcun ostacolo a riconoscere all’accordo privato il potere di regolare il rapporto alla stregua di una pronuncia giudiziale, in ossequio al principio di sovranità dell’autonomia privata.
Tale conclusione è coerente con l’impostazione della dottrina tradizionale (MENGONI) che, nella trattazione generale della successione necessaria, ammette la possibilità che l’accertamento giurisdizionale sia sostituito da un accordo col soggetto passivo e precisa che tali accordi non hanno natura traslativa, non costituiscono né transazione né novazione, ma si inseriscono, modificandola, nella complessa vicenda successoria.

2. LE TESI DELLA DOTTRINA.

Dimostrata l’ammissibilità degli accordi di reintegrazione di legittima, in quanto negozi atipici volti a soddisfare interessi meritevoli di tutela, tra i quali rientra senz’altro la tutela del legittimario, la dottrina, soprattutto nell’ultimo ventennio, si è dedicata ad un’opera di approfondimento dell’istituto nello sforzo di individuarne la natura giuridica.
L’assenza di una indicazione normativa e giurisprudenziale esaustiva in materia ha favorito l’elaborazione di una pluralità variegata di tesi dottrinali: transazione; negozio di accertamento costitutivo; negozio di accertamento dichiarativo produttivo dei medesimi affetti della sentenza di riduzione; negozio unilaterale di tacitazione dei diritti; rinuncia; novazione.
Va preliminarmente chiarito che ciascuno di tali schemi negoziali è idoneo ad essere impiegato per porre rimedio alla lesione e soddisfare, in tutto o in parte, i diritti del legittimario. Solo uno di questi tuttavia può essere definito accordo di reintegrazione in senso tecnico.

A) TRANSAZIONE
Scendendo nel dettaglio delle tesi proposte, la tutela del legittimario leso assume le vesti di una transazione laddove le parti coinvolte giungano ad un accordo attraverso cui, mediante reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già iniziata o prevengono l’inizio di una eventuale lite tra loro. Il requisito essenziale dell’istituto della transazione, espresso chiaramente dall’art. 1965 c.c. è dunque costituito dalle reciproche concessioni: da un lato, il legittimario rinuncia all’azione giudiziale e all’accertamento della sua lesione, dall’altro gli eredi trasferiscono al legittimario a tacitazione di ogni pretesa, beni propri o dell’eredità, il cui valore non deve corrispondere alla lesione (la quale non viene quantificata e che comunque rimane del tutto irrilevante). D’altronde, ciò che distingue la transazione da tutti gli altri istituti impiegabili per ottenere la reintegrazione consiste proprio nella soddisfazione solo parziale e non integrale del legittimario e nella mancanza di corrispondenza tra il valore dei beni trasferiti al legittimario e la quota di riserva spettante per legge; se ci fosse corrispondenza saremmo al di fuori dell’ambito della transazione mancando il requisito delle reciproche concessioni, e rientreremmo in quello del negozio di accertamento.
Il trasferimento a favore del legittimario si realizza dunque attraverso un atto inter vivos con effetti ex nunc come qualsiasi altro negozio traslativo (GENOVESE, RUPERTO).

B) NEGOZIO DI ACCERTAMENTO
Secondo la dominante dottrina l’accordo di reintegrazione della legittima che soddisfa integralmente i diritti del legittimario costituisce un negozio di accertamento.
All’interno di tale impostazione vi è divergenza di opinioni tra chi sostiene la natura dichiarativa dell’atto di accertamento in esame e chi invece si esprime a favore della natura costitutiva dello stesso.
Il dibattito non ha un rilievo meramente teorico ma incide profondamente a livello pratico ed involve lo stesso istituto, per la verità discusso, del negozio di accertamento.
L’atto di accertamento non è disciplinato dal codice civile ma è di elaborazione giurisprudenziale e dottrinale; può essere definito come il negozio con cui le parti rimuovono con effetti retroattivi una situazione di incertezza sul concreto assetto dei rapporti tra le stesse intercorrenti. La dottrina e giurisprudenza prevalenti ammettono la possibilità per i privati di conseguire il medesimo effetto di una pronuncia giudiziale dichiarativa, attraverso un accordo che fissi, in maniera vincolante per i partecipanti, il contenuto di una pregressa situazione o rapporto.
La causa del negozio di accertamento, consistente dunque della rimozione di uno stato di incertezza, risulta meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.
Alla luce di tali considerazioni, l’opinione prevalente rinviene nel negozio di accertamento una natura esclusivamente dichiarativa, esaurendosi la sua funzione nel fissare il contenuto di un pregresso rapporto tra le parti.
Si registra tuttavia autorevole dottrina (SALVATORE) che ammette la possibilità che il negozio di accertamento abbia natura costitutiva, producendo effetti traslativi di diritti. Secondo tale diversa ricostruzione teorica, il negozio di accertamento, dopo aver dato certezza ad una situazione preesistente, la innova attraverso il trasferimento di diritti, anche reali.
La natura costitutiva del negozio di accertamento è decisamente respinta dalla prevalente dottrina che nega la possibilità che il negozio di accertamento, che per definizione regola una precedente situazione dubbia, possa porsi come fonte di nuovi diritti.
Premesso dunque il dibattito circa la natura dichiarativa o costitutiva del negozio di accertamento, gli stessi termini del dibattito si ripropongono in sede di analisi della natura dell’accordo di reintegrazione della legittima.

B1) NEGOZIO DI ACCERTAMENTO COSTITUTIVO (o atto oneroso di tacitazione dei diritti successori)
Se si ammette che il negozio di accertamento possa avere natura costitutiva, si potrebbe affermare, come autorevole dottrina (SALVATORE) ha affermato, che l’accordo di reintegrazione di legittima sia un negozio di accertamento costitutivo articolato in due fasi: nella prima fase l’erede (o il legatario o donatario) riconosce la lesione a danno del legittimario; nella seconda fase, a tacitazione dei suoi diritti, gli trasferisce beni di valore corrispondente alla quota di legittima spettante. Si tratta in altre parole di un atto con cui, dopo aver accertato e riconosciuto la lesione, l’erede trasferisce dei beni a titolo di tacitazione di ogni diritto al legittimario, il quale non diviene mai erede né partecipe della comunione ereditaria.
Pertanto il trasferimento a favore del legittimario trova titolo nel negozio di accertamento costitutivo e quindi in un atto inter vivos con effetti necessariamente ex tunc soggetto a trascrizione.

B2) NEGOZIO DI ACCERTAMENTO DICHIARATIVO
Come anticipato, la dottrina prevalente (SANTARCANGELO, CICU, FERRI, CAVICCHI, NAPPA) considera l’accordo di reintegrazione di legittima un negozio di accertamento dichiarativo, il cui suo effetto tipico ed immediato è il riconoscimento della lesione e la produzione dei medesimi effetti della pronunzia giudiziale di riduzione. Sebbene sia oggetto di discussione la natura degli effetti prodotti dalla sentenza di riduzione, a causa del dato normativo non esauriente, l’interpretazione ormai prevalente accorda alla stessa i seguenti effetti: la declaratoria di inefficacia delle disposizioni testamentarie o delle donazioni che hanno prodotto la lesione della legittima; l’acquisto da parte del legittimario pretermesso della qualità di erede e dunque di compartecipe della comunione ereditaria (il legittimario semplicemente leso invece già è erede e a seguito della sentenza vede accrescere la quota ereditaria di spettanza).
Va precisato che l’acquisto della qualità di erede non trova fondamento nella sentenza: le uniche due forme di delazione ammesse nel nostro sistema sono quella testamentaria e quella legale, non trovando cittadinanza una delazione giudiziale né tantomeno una delazione negoziale.
Nel caso in esame, il legittimario diviene erede in virtù della successione legale, cioè per effetto di quella delazione necessaria che era stata impedita dall’esistenza di disposizioni che avevano esaurito (o ridotto) l’asse ereditario. Una volta dichiarata l’inefficacia delle disposizioni lesive, torna operativa la delazione legale a favore del legittimario pretermesso.
I medesimi effetti sono prodotti dall’accordo di reintegrazione della legittima: così come la sentenza dichiarativa determina l’inefficacia della disposizione lesiva, allo stesso modo l’accordo produce il medesimo effetto e rimuove l’ostacolo all’operatività della successione necessaria. Il legittimario è dunque erede nella quota di legittima e per tale quota concorre alla comunione ereditaria in forza della delazione legale che, in origine impedita dalle disposizioni testamentarie (o donazioni) lesive, si riattiva. L’effetto traslativo dunque non trova origine nella sentenza né nell’accordo di reintegrazione ma discende ex lege.
Alla luce del ragionamento fin qui svolto, appaiono inconsistenti le obiezioni mosse a tale ricostruzione, basate sull’inammissibilità di una delazione negoziale: si sostiene in altre parole che il legittimario non può acquisire la qualità di erede sulla base di un accordo tra le parti. In realtà, come già chiarito, il legittimario diviene erede in forza della successione necessaria che, in origine compressa, diviene operante grazie all’accordo.
Seguendo tale impostazione ricostruttiva, il trasferimento di diritti a favore del legittimario (che al pari degli altri eredi partecipa alla comunione ereditaria) non è prodotto dall’accordo che, lo si ribadisce, ha esclusivamente natura dichiarativa. L’effetto traslativo discende direttamente dalla legge e, più in particolare, dall’operatività della successione necessaria che instaura la comunione sui beni ereditari con necessità di un successivo atto di divisione. Il legittimario reintegrato consegue il suo diritto per legge, è un avente causa dal de cuius e non dal beneficiario della disposizione lesiva.
Se poi nel medesimo accordo, dopo aver preso atto che il legittimario è erede in una certa quota d’eredità, vengono assegnati allo stesso beni ereditari di valore corrispondente alla quota ereditaria di spettanza, l’atto assume anche la funzione di divisione della comunione ereditaria limitatamente al legittimario stesso (si parla in tal caso di divisione soggettivamente parziale o stralcio divisionale).
Si deve concludere che l’accordo di reintegrazione puro è un negozio di accertamento dichiarativo che produce i medesimi effetti della sentenza di riduzione.
Come anticipato, il risultato reintegrativo potrebbe essere realizzato anche mediante altri schemi negoziali che solo in senso lato costituiscono accordi di reintegrazione di legittima; non si condivide la tesi di chi (GENOVESE) considera l’accordo di reintegrazione un contratto atipico in cui rientrano molteplici ed eterogenei strumenti.

C) RINUNCIA
L’accordo potrebbe essere strutturato anche sotto forma di rinuncia a titolo oneroso all’azione di riduzione da parte del legittimario leso o pretermesso. Infatti, fermo il divieto di rinuncia all’azione di riduzione finchè il donante è in vita ai sensi dell’art. 557 c.c., il legittimario dopo la morte del donante, può rinunciare all’azione giudiziale. A titolo di corrispettivo della rinuncia, egli ottiene dall’erede il trasferimento di denaro o beni, propri dell’erede o dell’eredità, fermo restando l’esclusione dell’acquisto della qualità di erede in capo al legittimario pretermesso (BULGARELLI).
Il trasferimento satisfattivo avviene quindi per mezzo di un atto inter vivos trascrivibile e con effetti ex nunc.

D) NEGOZIO UNILATERALE
La reintegrazione del legittimario potrebbe essere attuata anche per mezzo di un atto unilaterale recettizio a titolo gratuito posto in essere dall’erede che trasferisce al legittimario una quantità di beni tale da soddisfare i diritti di riserva spettanti al legittimario leso; atto quindi traslativo e soggetto a trascrizione (Bulgarelli). Come nell’ipotesi precedente il legittimario pretermesso non acquista la qualità di erede né vede le disposizioni testamentarie (o le donazioni) dichiarate inefficaci. L’iniziativa per comporre la lesione del legittimario è adottata dall’erede, il quale realizza un’attività sanante di un rapporto altrimenti precario; l’esistenza di tale potere in capo ad uno dei soggetti del rapporto, si ricava da alcune norme codicistiche (e precisamente gli artt. 767, 1432, 1450, 1467, 1468 c.c.), che dimostrano l’esistenza nel nostro ordinamento di una categoria negoziale generale mirante a favorire la soluzione unilaterale e stragiudiziale delle controversie, consentendo ad una parte di porre in essere un’attività sanante volta a riequilibrare il rapporto, che farebbe venir meno l’interesse della controparte a ricorrere all’autorità giudiziaria.
In capo all’erede (o al donatario) beneficiario della disposizione che ha prodotto la lesione si configurerebbe un diritto potestativo consistente nel potere di porre in essere un’offerta di reintegrazione, la quale, facendo venir meno il pregiudizio, sortirebbe l’effetto di privare di fondatezza la pretesa sostanziale che il legittimario pregiudicato nei suoi diritti di legittima potrebbe ciononostante far valere. Detta offerta non avrebbe natura di proposta contrattuale bensì di atto unilaterale recettizio, dotato di autonoma causa, al quale il destinatario, se lo considera vantaggioso, potrà prestare adesione. Se il legittimario rifiutasse l’offerta, rimarrebbe percorribile la via giudiziale. Pertanto è opportuno che l’offerta abbia ad oggetto il trasferimento di beni di valore corrispondente alla quota di legittima spettante per legge.
Da segnalare che parte della dottrina riconduce l’ipotesi di offerta di reintegrazione nell’alveo dei contratti con obbligazioni a carico del solo proponente, ai sensi dell’art. 1333 c.c.

E) NOVAZIONE
Infine, l’accordo di reintegrazione potrebbe assumere le vesti di un contratto di novazione ai sensi dell’art. 1230 c.c. Come noto, la novazione rappresenta una modalità di estinzione di un’obbligazione mediante la costituzione di una nuova obbligazione, avente titolo o oggetto diverso. In tal caso dunque, le parti si accordano nel senso di estinguere l’obbligazione legale di integrare la legittima e di sostituirla con una nuova ed autonoma obbligazione, che può assumere il contenuto più vario e che costituirà il titolo dell’attribuzione a favore del legittimario (GENOVESE).

3. L’ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE.

La giurisprudenza non ha finora espresso un solido ed univoco orientamento in tema di accordi di reintegrazione della legittima. Le pronunce emesse, di numero assai esiguo, riguardano per lo più gli aspetti fiscali della vicenda o affrontano la problematica solo in via di obiter dictum.
Sebbene la materia sia trattata solo incidentalmente o limitatamente agli aspetti fiscali, è possibile comunque enucleare dalla lettura delle sentenze pronunciate, che la Corte di Cassazione sembra tendere a favore della ricostruzione sostenuta dalla prevalente dottrina: l’accordo di reintegrazione è un negozio di accertamento dichiarativo che produce i medesimi effetti di una sentenza di riduzione.
Tale conclusione si ricava in primo luogo dal particolare trattamento fiscale riservato agli accordi in oggetto, i quali sono stati costantemente assoggettati all’imposta agevolata di successione invece che all’ordinaria imposta di registro, con totale equiparazione rispetto all’ipotesi di vittorioso esperimento dell’azione di riduzione. La neutralità fiscale deriva dall’assenza di effetti traslativi dell’accordo posto in essere che, come già ampiamente spiegato, non rappresenta il titolo di devoluzione a favore del legittimario.
L’impostazione, già espressa in una pronuncia risalente (Cass. civ. 18 giugno 1956, n. 2171) è stata di recente ribadita da Cass. 17 gennaio 2019 n. 1141, che si esprime in questi termini: “il legittimario, in alternativa alla via giudiziale, può addivenire ad un accordo negoziale con i beneficiari delle disposizioni lesive, al fine di vedere ripristinati i propri diritti, accordo non tipizzato dal legislatore, che ha rimesso alla autonomia privata l’individuazione del concreto assetto negoziale attraverso il quale raggiungere il risultato voluto, cioè quello di reintegrare la quota di riserva, o quantomeno un valore corrispondente a tale quota; a tale tipologia di accordi, i quali tengono luogo della sentenza che accoglie la domanda di riduzione delle disposizioni lesive, viene generalmente attribuita natura non transattiva, ma meramente ricognitiva, di accertamento, in quanto i soggetti interessati riconoscono l’inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive, mentre la qualificazione in termini di transazione richiede pur sempre l’esistenza dell’elemento delle reciproche concessioni”.
La Corte dunque, dopo aver preso atto della pacifica ammissibilità di accordi privati di reintegrazione, riconosce agli stessi la natura di atti ricognitivi non traslativi equiparabili, quanto agli effetti e al trattamento fiscale, alla pronuncia di riduzione.
Oltre alle pronunce in materia fiscale, la Cassazione si è occupata dell’istituto in esame sotto il profilo strettamente civilistico nella sentenza n. 1348 del 4 maggio 1972, ed è giunta alla medesima conclusione sopra illustrata, precisando che nel momento in cui l’erede testamentario riconosce a favore del legittimario pretermesso i suoi intangibili diritti successori, quest’ultimo diventa automaticamente partecipe della comunione ereditaria e possessore, con effetto dall’apertura della successione e senza necessità di materiale apprensione, della sua quota di eredità su tutti i beni ereditari, in conformità a quanto dispone l’art. 1146 c.c.
Le altre poche sentenze in materia (Cass. civ., 22 ottobre 1988, n. 5731; Cass. civ., 9 dicembre 1995, n. 12632), pur affrontando il tema in via di obiter dictum, confermano le conclusioni finora illustrate.

4. CONCLUSIONI: STRUTTURA DELL’ATTO E PUBBLICITÀ.

Alla luce dell’analisi fin qui svolta è possibile concludere che l’accordo di reintegrazione di legittima è un contratto atipico con causa meritevole di tutela consistente nella riparazione della lesione subita dal legittimario; esso dovrà risultare da atto notarile, nella forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, come prescritto dalla norma tributaria prima citata, senza la necessaria presenza dei testimoni, e vedrà come parti da un lato, il legittimario leso o pretermesso, e dall’altro gli eredi o i donatari, beneficiari delle disposizioni che hanno provocato la lesione.
Quanto alla sua natura giuridica, ampiamente dibattuta, l’accordo di reintegrazione “puro” è, secondo l’orientamento prevalente e preferibile, un negozio di accertamento dichiarativo produttivo dei medesimi effetti di una pronuncia giudiziale di riduzione: l’accordo esaurisce i suoi effetti nel riconoscimento, in primo luogo, della qualità di legittimario, e in secondo luogo dell’esistenza della lesione e della conseguente inefficacia delle disposizioni lesive, inefficacia che rimuove l’ostacolo all’operatività della delazione legale, rendendo ex tunc il legittimario erede nella quota di riserva.
L’effetto traslativo dunque non è prodotto dal negozio ma discende dalla legge.
Dalla qualificazione giuridica di siffatti accordi quali negozi di accertamento e non traslativi deriva l’inapplicabilità delle menzioni obbligatorie richieste dalla legge per i negozi traslativi: si pensi alla menzioni ed allegazioni urbanistiche (art. 46 e art. 30 d.p.r. n. 380/2001), alla dichiarazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie depositate in catasto (art. 29, comma 1-bis legge n. 52/1985), all’allegazione dell’attestato di prestazione energetica (art. 6 d.lgs. n. 192/2005).
L’assenza di effetti traslativi comporta inoltre la non trascrivibilità dell’accordo ai sensi dell’art. 2643 c.c.
L’accordo dovrà tuttavia, essere trascritto ai sensi dell’art. 2648 c.c. come acquisto mortis causa qualora determini l’acquisto in capo al legittimario di un diritto reale su un immobile (o bene mobile registrato), in via esclusiva o in comunione con gli altri eredi.
Inoltre, se l’erede ha già accettato l’eredità, l’accordo, modificando la delazione ereditaria, dovrà essere annotato a margine della trascrizione dell’accettazione ai sensi dell’art. 2655 c.c.
Se l’erede non ha ancora accettato l’eredità, l’accordo costituisce titolo per la trascrizione dell’accettazione tacita ai sensi dell’art. 2648, comma 3, c.c.
Infine, se l’inefficacia riguarda donazioni, l’accordo è annotato a margine della trascrizione della donazione ai sensi dell’art. 2655 c.c. per segnalare la successiva inefficacia della donazione stessa.
La giurisprudenza, nelle poche pronunce in materia, ha confermato la ricostruzione finora illustrata.

GIURISPRUDENZA:

Cass., 13 gennaio 2010, n. 368: “i figli, legittimari pretermessi, non avevano agito in riduzione delle disposizioni testamentarie per la reintegrazione della quota di riserva. (…) Ed invero, considerato che il legittimario totalmente pretermesso dall’eredità acquista la qualità di erede solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione (Cass. 15.6.2006 n. 13804; Cass. 29.5.2007 n. 12496), è evidente che i figli non avevano acquisito la qualità di eredi di quest’ultimo; pertanto è insussistente nella specie il presupposto oggettivo per l’operatività della collazione, ovvero la comunione ereditaria sui beni relitti dal “de cuius”, considerato che il diritto dei coeredi di chiedere la divisione ed il connesso diritto alla collazione postulano l’assunzione della qualità di erede”.
Cass. 18 giugno 1956, n. 2171: “non è lecita alcuna distinzione di effetti giuridici tra il caso in cui l’azione di riduzione sia stata esercitata in giudizio con esito favorevole dal caso in cui le parti, a seguito della ricostruzione dell’asse ereditario, abbiano proceduto alla determinazione e relativa assegnazione alla parte dei beni dell’erede leso”.

DOTTRINA:

– A. BULGARELLI, Gli atti “dispositivi” della legittima, in Notariato, 2000, 5, 481;
– G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, a cura di Ferrucci e Ferrentino, Milano, 2015;
– D. CAVICCHI, Accordi per la reintegrazione della legittima, in Contratti, 2009, 11, 1020;
– L. D’AMBROSIO, Contratti di reintegrazione della legittima e negozio di accertamento, in Nuova giur. civ., 2015, 12, 20728;
– A. GENOVESE, L’atipicità dell’accordo di reintegrazione della legittima, in Nuova Giur. Civ., 2007, 4, 10502;
– L. FERRI, Dei legittimari, Artt. 536-564, Libro secondo, Successioni, in Commentario del Codice Civile a cura di Antonio Scialoja e Giuseppe Branca, Bologna, 1981;
– L. MENGONI, Successioni per casa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. di dir civ., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 2000, 188 ss.;
– S. NAPPA, La successione necessaria, Padova, 1999, 191;
– F. SALVATORE, Accordi di reintegrazione di legittima: accertamento e transazione, in Riv. not., 1996, 212;
– G. SANTARCANGELO, Gli Accordi di reintegrazione di legittima, in Notariato, 2011, 2, 162;
– A. SPATUZZI, L’integrazione pattizia della legittima, in Corriere giur., 2017, 4, 525;
– A. TORRONI, La reintegrazione della quota riservata ai legittimari nell’impianto del codice civile, in Giur. it., 2012, II, 1951 ss.

Giulia Torrelli